“Sofia, io vado di là.
Controlla che la tua sorellina non cada dal letto.”
“Sofia, ma dov’è tua sorella?”
“Tranquilla mamma, l’ho lasciata di là con Wendy!”
Wendy,
la fedele compagna di avventure
di Peter Pan, nonché la mia amica immaginaria.
Questo articolo è dedicato a tutti gli adulti
preoccupati che i propri figli
si perdano troppo
a lungo nell’immaginazione. I miei genitori furono
presi dalla stessa paura, e all’epoca si rivolsero perfino
al medico
per superare la mia relazione con
un personaggio immaginario.
Avevo tre anni.“Tranquilli, è solo una fase. Con la crescita passerà.”,
rispose il pediatra, profetico. Anche oggi ci interfacciamo
con genitori che temono i pericoli in agguato
per
uno sviluppo “normale” dei loro bambini:
“Mio figlio preferisce la compagnia
del suo amico immaginario invece
di stare con gli altri bambini
all’asilo”
“Mia figlia ha sempre la testa fra le nuvole
e non partecipa ai discorsi che
facciamo in famiglia…”
L’antidoto a queste preoccupazioni va preparato
con gli ingredienti forniti
da due vademecum indispensabili
per la formazione del filosofo coi bambini.
Egli, infatti, entra
in classe e dà grande credito all’immaginazione dei
bambini che ha di fronte,
nella profonda
convinzione che si tratti di una
faccenda molto seria.
Dalla sua ha tutti
i dati riportati
da Paul Harris in The work of imagination.
La natura ha concesso allo sviluppo dell’immaginazione
una finestra temporale molto ampia nell’infanzia:
spazia dai diciotto mesi ai nove anni circa,
e rimane spendibile dall’individuo anche da adulto.
Dunque i bambini che fin da piccoli sfrutteranno il più
possibile la loro immaginazione, allenando quella specifica
facoltà, probabilmente saranno coloro che sapranno
apprezzare un racconto surreale o il finale aperto
di un film. La teoria di Harris ci fa capire quanto
l’immaginazione infantile sia fondamentale da coltivare
per la creazione di scenari futuri, per la capacità di fare
previsioni e di sperimentare una vasta gamma di alternative.
“Cosa ci fa un cane in mezzo al mare?”,
“Cosa faresti se il tuo migliore amico si trasferisse in un’altra
città?”, o ancora: “Cosa possiamo regalare a un naufrago
affinché sopravviva e sia felice?”. Sono le tipiche
domande che il filosofo coi bambini rivolge alla classe
per stuzzicare le giovani menti, cercando insieme a loro
di tenere aperta la finestra dell’immaginazione,
accompagnandoli a intrufolarsi
nei mondi possibili.
Il bambino-filosofo raccoglie i dati positivi della realtà
e li riscopre grazie all’immaginazione. È questa
dialettica fra reale e immaginario, secondo
Gianni Rodari (Grammatica della fantasia),
a fondare la conoscenza del bambino.
Egli parte dalla realtà e la attraversa usando
l’immaginazione. Fa dei salti smisurati nell’assurdo,
e lì sperimenta il piacere dell’invenzione, lì esorcizza
le sue paure, lì si sorprende e quando approda di nuovo
nella realtà, ritorna incredibilmente più saggio.
L’intento dunque non è rafforzare idee assurde
o surreali bensì continuare a stimolare l’immaginazione,
nella certezza che il bambino riconoscerà spontaneamente
la sua favola come vera per finta in opposizione
alla realtà vera per davvero.
Perciò
non vi preoccupate, cari genitori,
prima o poi
sarà proprio lui a farvela notare!
20 anni dopo, mia cugina
ha quattro anni, io ormai ventitré.
“Costanza, a cosa giochi?”
“Sto giocando al negozio. Gioca anche tu!
Io sono la cliente e tu la commessa…”
“Va bene. Buongiorno signorina,
per questa gonna mi deve mille euro.”
“Nooo, ma io dicevo per finta!”